giovedì 23 ottobre 2008

Di robot, rifiuti e umani grassi e pigri

Ieri sera siamo andati a vedere Wall E. Avevo messo gli occhi su questa pellicola da quando avevo visto il trailer e devo dire di non essere rimasto deluso.
Premessa: la Pixar spacca. I loro lavori sono sempre più perfetti. Le animazioni sono meravigliose, le espressioni facciali di ogni personaggio, che si tratti di un robot, un umano o... uno scarafaggio, sono impagabili. E questo aiuta molto la narrazione. I personaggi sono sempre più vivi e lo spettatore apprezza.

La storia è quella, come molti voi sapranno, di un robot rimasto su una Terra di un imprecisato futuro, ridotta a pattumiera, il cui compito è quello di sistemare/compattare rifiuti.

L’abnegazione di Wall E, la passione tangibile per un lavoro sostanzialmente inutile e la sua umanissima curiosità sono tre aspetti che rendono al meglio l’essenza di un personaggio che è un omaggio, non un plagio, al protagonista di uno dei miei film preferiti quando ero un bimbo: Corto Circuito. Wall E ha le sue stesse fattezze, ma potrebbe esserne il figlio.

Dall’altra parte troviamo un robot super-evoluto, Eve, splendido nei suoi movimenti fluidi e divertente per il divario tecnologico che la separa da Wall E. Ma è lì che iniziano e si fermano le differenze. I due robot sono fatti per stare insieme e il loro rapporto matura man mano che i minuti passano.

La terza e ultima figura del film, la più triste e inquietante, è certamente l’umanità: ridotta a un branco di ciccioni non autosufficienti, totalmente dipendenti da macchine che forniscono loro ogni genere di servizio (dal trasporto all’intrattenimento). E’ una figura che fa paura per la sua credibilità. L’uomo è il personaggio meno umano di tutto il film. E non perché sia crudele o insensibile, ma perché le macchine si rivelano infinitamente più sagge e profonde. Un paradosso che non è tale, perché un futuro con uomini che a stento riescono a reggersi in piedi, schiavi di una tecnologia che è vita e droga, non è così difficile da immaginare. Non credo sia il nostro destino, ma mette davvero i brividi pensare che possa essere una possibilità, magari non estremamente remota.

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